Marduk – “Nightwing” (1998)

Artist: Marduk
Title: Nightwing
Label: Osmose Productions
Year: 1998
Genre: Black Metal
Country: Svezia

Tracklist:
1. “Preludium”
2. “Bloodtide (XXX)”
3. “Of Hell’s Fire”
4. “Slay The Nazarene”
5. “Nightwing”
6. “Dreams Of Blood And Iron”
7. “Dracole Wayda”
8. “Kaziklu Bey (The Lord Impaler)”
8. “Deme Quaden Thyrane”
8. “Anno Domini 1476”

Le contraddizioni in musica possono sovente essere una ricchezza per il compositore che sa sfruttarle al meglio, ed allo stesso tempo rivelarsi una pericolosa arma a doppio taglio capace di comprometterne la ricezione vanificando così gli sforzi di chi si è messo in gioco per mandare in stampa il frutto di mesi, quando non anche anni, di fatica certo non soltanto mentale.
Tra gli innumerevoli esempi nel circuito nero di nostra competenza, ad incarnare meglio di ogni altro l’archetipo di codesta amara condizione dell’essere artisti sono forse i Marduk del comandante in capo Morgan Håkansson: a partire dagli esordi, colti nel fuoco incrociato di Black e Death Metal, fino all’Heaven Shall Burn… When We Are Gathered” edito nel 1996 il quale, essendo con tutta probabilità più di ogni altro loro disco figlio del senso di onnipotenza sorto a fronte di una line-up eccezionale andata da pochissimo a consolidarsi, finisce con l’ingozzarsi d’influenze ed umori dei più eterogenei, infilati uno dietro l’altro senza troppo ragionarci sopra ed in qualche modo finiti col funzionare alla grande sia qualora presi a sé stanti, sia se percepiti nell’insieme. Quella voglia di stupire con effetti speciali e colpi di scena ce l’ha sempre avuta, però, colui che era e per molti rimane ancora oggi noto come Evil, e dopo essersi misurato con un’opera dal carattere così fortemente istintivo la sfida diviene quella di concepirne dopo due soli anni un successore che sia il primo capitolo di una sconsacrata trilogia di sangue, fuoco e morte. Nel contempo, persino una sorta di split album interno, tra sé e sé, fra le sue differenti sensibilità; queste ultime, come già dimostrato nel 1998 in altri quattro album, sono ben lungi dall’essere solamente due e tuttavia qui vengono comunque canalizzate negli altrettanti macroinsiemi di un dizionario infernale incarnante il più puro odio anticristiano, da un lato, e di un volo su ali di pipistrello alla volta dei Carpazi dall’altro, a ripercorrere le tappe salienti dell’esistenza terrena del leggendario Vlad III di Valacchia.

Il logo della band

Il contrasto interno al mastermind diviso tra la semplice brama di violenza -adesso rinnovata dal Fredrik Andersson ormai inarrestabile alle pelli e dai versi inumani emessi dal carismatico Legion– e l’anima buia che aveva guidato lui e il compare It per le paludose nebbie vagheggiate dagli Abruptum si riflette pertanto non solo nella struttura dell’ad oggi venticinquenne “Nightwing”, ma soprattutto in quelle che ne sono le due figure cardine attorno alle quali ruotano riferimenti tematici e conseguente mood dei brani. Il percorso di vita di Jacques Collin De Plancy, enigmatica figura dell’occultismo d’inizio ‘800 poi convertitasi al cattolicesimo, si interseca in maniera speculare a quello del ben più celebre Vlad Tepes eletto difensore ultimo della cristianità contro gli ottomani, e tuttavia entrato nella leggenda grazie alla proverbiale crudeltà che, come noto, lo rese modello per il Dracula di Bram Stoker.
Siamo del resto a metà aprile del ’98, con buona parte del pubblico di riferimento che attende impaziente il “Cruelty And The Beast” in uscita di lì ad un paio di settimane, perciò i concept vampireschi nel reame dei suoni neri non sono affatto una novità isolata; e comunque già in tal senso i Marduk dimostrano di saper raccogliere suggestioni estranee senza snaturare l’attitudine irruenta alla base della loro stessa genesi, sia rigettando il lato fiction delle vicende transilvaniche in favore delle loro controparti reali e proprio per questo assai più perturbanti, sia conservando una certa indole fieramente grezza quando non un pelo caciarona. A titolo di mero esempio teorico, mentre la cricca capeggiata da Dani Filth citava sin dal debut, quattro primavere innanzi, il classico Conte impersonato sul grande schermo da Bela Lugosi, a tali pretese intellettualistiche si oppongono invece gli svedesi i quali recuperano lo sgangherato scult intitolato Subspecies, ed attorno al suo tema principale intessono il riff portante di una title-track invero raffinatissima, infidamente soave all’udito come solo una creatura della notte prossima al fatale morso potrebbe mai essere.

La band

Ad ogni buon conto, impossibile riascoltare col senno di poi la massacrante tripletta che apre il loro quinto full-length senza convenire che questi siano gli stessi identici e quattro satanassi che, nel gran finale della fondativa decade novantiana, polverizzeranno un genere moribondo per farlo rinascere dal fuoco di un cingolato. Per quanto già Heaven Shall Burn…” rappresentasse appieno in certi episodi la carica cieca di blasfemia fine a sé stessa alla quale, a detta dello stesso axeman, era stato sin dall’inizio votato il gruppo di Norrköping, è però nella prima metà di “Nightwing” che il sapiente Peter Tägtgren ripaga il quartetto suo conterraneo della scelta degli Abyss Studios rendendone il sound qualcosa di veramente bestiale, fuori dalla grazia di un Dio che i Marduk prendono gioiosamente a schiaffi come nessuno si era spinto fino a quel momento a fare dentro uno studio di registrazione. Il riffing di Håkansson doppiato dal fidato sgherro B. War si mantiene basilare senza prendersi troppe luci, e forma anzi un tutt’uno inestricabile con un Andersson che già ora pare seduto dietro non ad un drum-kit ma ad una MG-42 dalle infinite munizioni; così come infinito sembra il fiato di un portentoso Legion la cui ugola regala i primi lampi di completa follia. Difficile, infatti, non rabbrividire al titolo ripetutamente ringhiato con ferocia via via maggiore allo scadere della belluina “Of Hell’s Fire”, se non tenendo ben presente che l’immondo caos racchiuso nel Dictionnaire Infernal non è che un piccolo acconto dell’olocausto messo in programma dalla milizia scandinava l’anno a venire.
Tutti gli stereotipi sul conto dei Marduk, positivi o negativi che siano, vengono proprio da qui ampliati e rivendicati con l’orgoglio di chi non deve affatto scusarsi di essere ciò che è, anche perché ad accogliere gli scampati alla macelleria svedese sono le gigantesche note dell’eponima traccia “Nightwing”: di nuovo dopo l’oltremodo efficace “Glorification Of The Black God” viene riletto del materiale sinfonico preesistente, e l’effetto delle pennate in tremolo applicate a quelle partiture è un tornado vorticoso scatenato dalle gargantuesche ali di chissà quale mostruosità notturna, posizionato al crocevia tra le due sponde acherontiche e quindi incorporante con inedita maestria tanto l’aggressività dei brani precedenti quanto le tenebre grondanti da quelli successivi.
Le imprese dell’infame Impalatore, servitore del Paradiso in sodalizio col Maligno, sono così sviscerate con precisione enciclopedica dai testi e concretizzate dal dipanarsi della mostruosa “Dreams Of Blood And Iron” e dell’a lei connessa “Dracole Wayda”, legate in dieci minuti di sublime danza macabra tra le foreste di pali eretti e corpi affidati agli avvoltoi dalle orde del Voivoda. Ma la cosa più fondamentale che dimostra ancora oggi “Nightwing”, in ciò cruciale nell’operato della band e in vista di un’evoluzione che si paleserà soltanto sei anni più tardi con “Plague Angel”, è che l’orrore concreto e storicamente autentico, nella filosofia del leader deputato alle sei corde, non necessita in fondo di blast-beat e urla demoniache per spaventare sul serio, e pur potendo contare su di una fulminea “Kaziklu Bey” per tenere alta la tensione nel 1998 i Marduk apprendono in via definitiva, appoggiati dal conclusivo rullo di tamburi preannunciante altro sangue versato, come davvero suoni la paura scaturita da un semplice pentagramma.

Poco spazio hanno pertanto le lamentele riguardanti il secondo ricorso al canovaccio orchestrale nel giro di due soli album, oppure sulla scelta di ripescare da “Opus Nocturne” la mutevole e perciò adattissima “Deme Quaden Thyrane” rivestendola dell’assoluta brutalità sonora di cui è capace adesso il battaglione scandinavo. Nello stesso anno in cui una loro futura conoscenza arriva alla prova del fuoco col mini “Devilry”, il four-piece tiene saldi nell’originaria malvagità i piedi di una Svezia disorientata in mezzo alle ultime scintille di genio melodico ed i primi grandi lavori d’epos vichingo, ribadendo la propria versatilità da un lato e -dall’altro- non cedendo di un millimetro nella loro pretesa di essere quanto di più rumoroso, molesto e ferale partorito dal Black Metal a tutto tondo.
Ponte tra la varietà di Heaven Shall Burn…” e l’assalto unilaterale chiamato “Panzer Division Marduk”, dal canto suo “Nightwing” è un altro gustoso all-you-can-hear ulteriormente definito rispetto al predecessore nel suo menù di carne sanguinolenta, con tre fortissime entrées a travolgere orecchie e papille gustative portando alla perfezione stilistica la primordiale rabbia della band in attesa che il resto delle portate evolva quei sapori, arricchiti da spezie dell’Europa Orientale e passaggi di matrice simil Doom a dir poco vitali per il futuro svilupparsi di questi musicisti. Vi si potrebbe allora leggere dentro i primi semi delle declinazioni ancor più nere dello scenario locale poi dipinte da Ondskapt e Funeral Mist, oppure le avvisaglie del passeggero ma ugualmente infausto fenomeno norsecore di cui i Marduk sono semmai incolpevoli antesignani, e forse nemmeno ci si sbaglierebbe; pure questa del resto è l’ennesima testimonianza di quanto il talento di Morgan Håkansson e dei compagni susseguitisi nel tempo abbia influito e dato forma alla realtà estrema intorno a loro, lasciando in essa un marchio destinato a durare quanto la sinistra fama dei demoni (rinchiusi all’Inferno, o lasciati liberi nel mondo mortale) i quali li hanno ispirati nella creazione di simili capolavori maledetti.

Michele “Ordog” Finelli

Precedente Falkenbach - "...Magni Blandinn Ok Megintíri..." (1998) Successivo Impaled Nazarene - "Rapture" (1998)